l'oggetto è abbandonato

    
il discorso sull’abbandono è quello sul lasciare l’oggetto / segno / scrittura / traccia all’ambiente, addirittura a “tutti”. (questo per le installance), svincolando la cosa lasciata dal ‘valore’ (anche estetico) senza vincolarla a ‘un’ destinatario, e nemmeno all’indicazione autoriale precisa. (tutti gli oggetti abbandonati in forma di installance sono senza firma).
gli oggetti possono così essere ‘pacchetti di senso’ lasciati liberi di trovare il loro destinatario. 
da nessuno a tutti, o a qualcuno (che se ne appropria come dono, senza che il dono sia ‘firmato’ né nel senso dell’arte, né nel senso del design/prestigio, né nel senso e segno autoriale). (la firma – intesa come passaggio di senso – è un addendum messo da chi trova l’oggetto, quando e se lo trova e lo prende con sé, volendo).
   

on the moon (1971)

   

This tiny sculpture is called Fallen Astronaut, and was placed on the lunar surface by the crew of Apollo 15 on August 1, 1971.
The figurine, which was crafted in the likeness of an astronaut-in-spacesuit, measures just more than three inches tall, but the “Smallest Memorial in the Universe,” as Walter Cronkite called it in a 1972 interview with its creator, Belgian sculptor Paul van Hoeydonck, gave rise to storm of controversy disproportionate to its physical size. Over at Slate, Corey S. Powell and Laurie Gwen Shapiro have the in-depth story of the scandals and conflicts that “obscured one of the most extraordinary achievements of the Space Age.”
It begins:
One crisp March morning in 1969, artist Paul van Hoeydonck was visiting his Manhattan gallery when he stumbled into the middle of a startling conversation. Louise Tolliver Deutschman, the gallery’s director, was making an energetic pitch to Dick Waddell, the owner. “Why don’t we put a sculpture of Paul’s on the moon,” she insisted. Before Waddell could reply, van Hoeydonck inserted himself into the exchange: “Are you completely nuts? How would we even do it?”
Deutschman stood her ground. “I don’t know,” she replied, “but I’ll figure out a way.”
She did.
At 12:18 a.m. Greenwich Mean Time on Aug. 2, 1971, Commander David Scott of Apollo 15 placed a 3 1/2-inch-tall aluminum sculpture onto the dusty surface of a small crater near his parked lunar rover. At that moment the moon transformed from an airless ball of rock into the largest exhibition space in the known universe. Scott regarded the moment as tribute to the heroic astronauts and cosmonauts who had given their lives in the space race. Van Hoeydonck was thrilled that his art was pointing the way to a human destiny beyond Earth and expected that he would soon be “bigger than Picasso.”
In reality, van Hoeydonck’s lunar sculpture, called Fallen Astronaut, inspired not celebration but scandal. Within three years, Waddell’s gallery had gone bankrupt. Scott was hounded by a congressional investigation and left NASA on shaky terms. Van Hoeydonck, accused of profiteering from the public space program, retreated to a modest career in his native Belgium. Now both in their 80s, Scott and van Hoeydonck still see themselves unfairly maligned in blogs and Wikipedia pages—to the extent that Fallen Astronaut is remembered at all.
And yet, the spirit of Fallen Astronaut is more relevant today than ever. Google is promoting a $30 million prize for private adventurers to send robots to the moon in the next few years; companies such as SpaceX and Virgin Galactic are creating a new for-profit infrastructure of human spaceflight; and David Scott is grooming Brown University undergrads to become the next generation of cosmic adventurers.
Governments come and go, public sentiment waxes and wanes, but the dream of reaching to the stars lives on. Fallen Astronaut does, too, hanging eternally 238,000 miles above our heads. Here, for the first time, we tell the full, tangled tale behind one of the smallest yet most extraordinary achievements of the Space Age.

semplicità delle sibille e della poesia concreta e visiva

   
stante il superamento di molte necessità tipografiche, e considerando la diffusione delle stampanti a basso costo, e le tecnologie legate alla riproduzione e diffusione delle immagini attraverso rete e dispositivi cellulari, un testo visivo può vivere grazie alla semplice addizione: matita + carta + ‘moltiplicatore’ elettronico.
il moltiplicatore può essere un cellulare, una webcam, uno scanner, una macchina fotografica digitale. la diffusione è data da una connessione web, o da una stampante. da una fotocopiatrice. eccetera.
e: di fatto la persistenza del testo – o della traccia – è perfino esterna alla sua registrazione e archiviazione. la sua indipendenza dai ‘mezzi’ è già scritta nell’ordine delle cose.

il semplice incontro con la traccia da parte di un osservatore è un altro segmento di vita della traccia, aggiunto.
  

alla dispersione / emilio villa

   

Guarda che siamo di Eleusi. […] Qui il più severo e il più vero inventore sono io, che ho inventato la poesia distrutta, data in pasto sacrificale alla Dispersione, all’Annichilimento: sono il solo che ha buttato il meglio che ha fatto: quello che s’è consumato nella tasca di dietro dei calzoni scappando di qua e di là, quello scritto sui sassi buttati a Tevere, quello stampato da un tipografo che non c’è più, quello lasciato in una camera di via della croce. Solo così si poteva andare oltre la pagina bianca: con la pagina annientata.
Emilio Villa, da un appunto (“risalente alla fine degli anni Settanta o all’inizio degli Ottanta”, cfr. A.Tagliaferri, Il clandestino. Vita e opere di Emilio Villa, DeriveApprodi, Roma 2004, p. 183)
   

the shape of the field / mg. 2013

is it really (only) “visual poetry” the thing I deal with?
I realize I’m absolutely interested in signs, traces, borders, explanations, asemic areas, glyphs, arrows, cacography, alphabets, open fields, blurred images, distant grass, abstract figures and movies, glitch in sound and vision, ripped cardbox, scratched wood, scratched tapes, uncanny machines, lack of meaning, naive drawings, art brut, lowres shots, random shots, bad photos of notes and things, boring manuscripts, boring explanations, boring graffiti, handwritten lists and instructions, weird diagrams, diaries, “action writing” / action painting, mixed excerpts of any kind, verbovisual chaos, contradictions, plain statements, twisted sentences, heaps of words, chalk drawings, empty rooms, empty squares, pseudo-fields of forces, found items, readymades, unfinished sketches, bad prose pieces, cut-up prose, diagonals, bunch of diagonals, ugly scribbles and doodles, fake math, stains and lakes and wires and snakes of black ink, ideograms, fake ideograms, cursive overwriting, collapse of sound, and noise, superimposed images, collage, digital collages, disturbed texts, écriture, walls and sheets of words, handwritten papers, rough handwriting, incomplete transcriptions, photos of manuscripts, scanned fragments, bad scans, arte molto povera, installances, lost leaflets, dirty ones, old and new ephemera, marginal events, short movies, b/w works, out-of-focus, stones, written stones, my bad English…
all of this stuff is what I try to mix, write, pick up, store, and
I’m against editing, post-production, bellettrisme, wise quotations, meta-language, mimicry, novels, serious art, and
I DO REJECT HI-RES.

what do I have to do with all of the thousand hi-res & calligraphically rendered online landscapes? first of all, I have some actual landscape offline. and: I’ve no time at all.

___’d better go fetch errors and misshapen signs, traces, borders, …
   

pier roberto bassi _ free art friday

     

FREE ART FRIDAY L’opera d’arte lasciata in strada in modo che chiunque possa goderne e portarla a casa. Avanti, regala a qualcuno una bella giornata! Si prega di pubblicare solamente immagini di “arte libera”. Free Art Friday non è un’idea nuova, nel mondo ci sono moltissimi Artisti che fanno arte e semplicemente la lasciano in giro per le strade. Non ci sono regole, è questo il bello! Per far sì che l’opera d’arte sia esclusivamente gratuita ci si deve assicurare che sia facilmente rimovibile e che non danneggi, o solo in minima parte, l’ambiente in cui è riposta. Free Art Friday si pone molteplici obiettivi… Creare qualcosa libero dai vincoli del commercio, proporre un’idea, gridare un messaggio politico o semplicemente affascinare e confondere lo spettatore rappresenta per l’artista un’ opportunità. Troppo spesso l’arte rappresenta per l’artista solo il suo lavoro ed è limitata dalle pubblicazioni nelle gallerie o dai problemi della vendita. FAF pone l’attenzione di chi crea sull’atto stesso della composizione, favorendo l’assoluta libertà artistica evadendo i limiti commerciali ed economici. Il lavoro di molti partecipanti di FAF è spiritoso e genuino, nella speranza che rallegri il tragitto dello spettatore dalla casa al lavoro, che metta tutto in discussione, che si aspetti l’inaspettato e si renda conto che insieme al bisogno di vendere, pubblicizzare, combattere il sistema e ribellarsi c’è anche un bisogno di abbellire e intrattenere in uno modo totalmente privo di guadagno e senza arrecare danno alla proprietà pubblica e privata.  (MyDogSighs ’07)