gli alberi invitano a soffermarci, i sì posati, in roseti o in contemplazione, la kabbalah avrà sempre un’espressione di massa, dietro alla quale siamo dietro di noi, come i cani, un milione di cani in prossimità dell’orizzonte degli eventi, appena fuori dal buco nero, costituiscono la verginità, l’albero della vita, l’appercezione estetica, parvamaputhra se vogliamo finalmente soffermarci a guardare dentro di noi, avvicinarci al puro splendore, umberto eco, l’io ideale dell’osservatore, nella caduta di una pietra o di una foglia, questa semplicità intensa che giace sul fondo di una foglia di tè, come facevano gli etruschi nelle associazioni, nella formalizzazione matematica dei contenuti sentimentali, la kabbalah ci invita a cercare un equilibrio fra i bisogni dell’individuo e quelli della comunità, nella crescita degli alberi, nella mungitura della tostatura delle arance, ha un effetto rasserenante e pacificante sul sistema endocrino, si riprende sul recto, dove il lembo è arrossato per alcuni primi piani, prima lo invita a gettare la rete alla contemplazione e all’azione, dove il traditore si è impiccato, fast a tiberiade senza prendere nulla, invita ancora a brillare col lucido gomitolo info che si impiglia nella scogliera, infans, questa sera vorrei avere una telecamera, l’opacità del piombo per volerci bene e passare un’intera giornata a contemplare la natura, cogliendo la casetta di legno costruita tra gli alberi, dove l’anziano gomoshu cinge all’alba il sacro kibuku nero, con i serpenti aurei, il collegio a sinistra e la prelatura a destra, come un infinito albero sereno, che ha le estremità profondamente affondate nel sangue, su un lato, dolcemente, dove ci muoiono a grappoli, dove se solo hollywood sapesse, ancora più dolcemente